Scuola di scrittura o consulente? Le differenze nell’esperienza di autori celebri

Per poter pubblicare un libro e diventare scrittori di successo non esiste una via univoca. Certo, non si può fare tutto da soli: spesso infatti serve l’affiancamento di esperti del mestiere. Questo può però essere fornito agli aspiranti scrittori in due modi: o attraverso un scuola di scrittura, o grazie a un consulente letterario. Dunque la domanda che ogni esordiente si pone è scuola di scrittura o consulente? Vediamo insieme le differenze di approccio tra i due metodi e alcuni esempi pratici.

Scuola di scrittura o consulente? Le differenze

Se si sceglie di farsi affiancare da un professionista, si vuole avere un percorso personalizzato, ritagliato sulle esigenze di ogni autore. La differenza tra un libro “bello” e uno “brutto”, utilizzando di proposito questi termini molto generici, è che il primo contiene necessariamente qualcosa di originale, una voce personale, uno stile che cattura. In breve: un’anima. Un testo tecnicamente perfetto potrebbe non trasmettere nulla a un potenziale lettore. Scrivere un incipit ben fatto non significa essere certi che il lettore ne rimanga colpito, o lo ricordi.
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Spesso è necessario un approccio personalizzato per far emergere la voce di ogni autore dando vita a libri originali
Un autore di successo deve scrivere qualcosa che abbia un valore letterario e che allo stesso tempo lasci emergere uno stile identitario e originale. Siamo sicuri che una scuola di scrittura creativa, con numerosi allievi e lezioni teoriche, sia in grado di valorizzare ogni aspirante autore? Una buona base teorica non è sufficiente. Il coach, come abbiamo visto, si occupa anche di questo: scoprire la voce di un certo autore, farla emergere, renderla in grado di esprimersi come punto forte del libro stesso. Il rischio che si corre con lo studio troppo intenso della tecnica è generare racconti piatti e uniformi.

Scuola di scrittura o consulente? L’esperienza dei grandi autori

Ora che conosciamo le differenze teoriche tra corsi e percorsi, ovvero tra l’insegnamento delle tecniche e l’affiancamento di un professionista, possiamo concentrarci su alcuni esempi concreti. In particolare, si rivelano interessanti tre esperienze di autori molto conosciuti, che hanno raggiunto il successo seguendo strade diverse. Ancora oggi, quando parlano di scrittura, hanno modi differenti di affrontare il processo creativo e per questo possono offrire una riflessione interessante sulla contrapposizione tra metodologie di espressione.

Haruki Murakami e il processo creativo

Murakami è il perfetto esempio di un rifiuto totale delle scuole di scrittura, a cui ha sempre preferito l’affiancamento da parte di un editor. Le dichiarazioni più importanti sul suo processo di creazione del racconto sono contenute nel libro Il mestiere dello scrittore. Sin dal primo capitolo egli sottolinea quali siano le due più importanti caratteristiche di un autore. Per descriverle usa la metafora del corridore, ruolo che lui stesso ha ricoperto per passione per molti anni vincendo anche numerose competizioni. La scrittura, come la corsa, è legata a pazienza e perseveranza, un continuo allenamento da portare avanti giorno per giorno. Inoltre è necessaria la solitudine per produrre qualcosa di davvero introspettivo, emozionante, personale. Solo così si è in grado di ascoltare se stessi e dar voce alla propria anima interiore, esplorare l’inconscio.
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Secondo Murakami la scrittura è molto simile alla corsa: ci vogliono costanza e allenamento e aiuta nel processo di introspezione
Un altro tratto molto importante per Murakami è infatti lo stile personale, l’originalità. Egli ritiene che le scuole, soprattutto giapponesi, cerchino di soffocare tale tendenza, preferendo l’uniformazione a tecniche classiche. Si dice contrario alle regole letterarie imposte, da sempre rifiutate. Portando la propria esperienza, egli afferma di aver iniziato a scrivere d’improvviso, grazie a una costante e appassionata lettura e a un’attenta e minuziosa osservazione della realtà. Lo ha fatto senza seguire tecniche lineari o nozioni specifiche. La prima stesura deve essere istintiva, venire dal cervello e dall’anima dell’autore che hanno accumulato in sé osservazioni ed emozioni. Così, pian piano, si delineano i personaggi e, gradualmente, nasce la storia.

Joel Dicker e l’autopubblicazione

Dicker è ormai lo scrittore svizzero più famoso al mondo. A poco più di trent’anni ha all’attivo diversi romanzi, la maggior parte dei quali sono best seller. Basta nominare alcuni titoli: Il libro dei Baltimore (2015), La scomparsa di Stephanie Mailer (2018), L’enigma della camera 622 (2020) e il celeberrimo La verità sul caso Harry Quebert. Ma ci siamo mai chiesti come sia iniziata la sua scalata al successo? In realtà di scrittori come Dicker ne esistono pochissimi, proprio per la sua incredibile origine. Si pensi che, dopo aver studiato cinema, recitazione e addirittura legge ha deciso di intraprendere la carriera di scrittore quasi da autodidatta. Il suo romanzo d’esordio, Gli ultimi giorni dei nostri padri, è stato rifiutato da tutte le case editrici e autopubblicato. Da qui però ha inizio una storia incredibile: viene notato da un editore solo dopo aver vinto il Prix Genovois des Ecrivains proprio grazie all’auto pubblicazione. Così nel 2012 avrà la possibilità di dar vita al suo bestseller, che a oggi ha venduto circa 5 milioni di copie e ispirato una serie televisiva.
Si tratta dunque di un travaglio tormentato, iniziato con l’amore per la scrittrice Marguerite Yourcenar e la volontà di pubblicare. Nessuna scuola di scrittura: solo un’accademia di cinema recitazione, da cui nasce il continuo uso di flash back e cambi di prospettiva, di rimandi a episodi passati intrecciati con la realtà presente e di verità antitetiche. Ma lui stesso, quando gli viene chiesto riguardo al suo processo di scrittura, afferma di non procedere in maniera razionale. La tecnica che più segue è l’improvvisazione: inizia a scrivere sulla base della prima idea che gli viene in mente, senza farsi troppe domande. Da qui si dipana la magia del suo racconto.

Alessandro Baricco e la scuola di scrittura

Portiamo ora l’esempio di uno scrittore che la pensa in maniera totalmente diversa. Alessandro Baricco, autore italiano conosciuto in tutto il mondo, ritiene sia possibile insegnare a diventare scrittori, tanto da aver fondato una scuola tutta sua, la Holden, che ogni anno ospita centinaia di studenti promettenti. Il suo obiettivo è fornire gli strumenti affinché i giovani conoscano e mettano in pratica tecniche diverse. La scrittura è una tecnica artigianale, afferma, dunque è possibile spiegarne le regole di funzionamento. Così noti autori insegnano il mestiere del narrare, che riguarda sia la creazione di un libro, sia l’introduzione al giornalismo, alla sceneggiatura, alla pubblicità. La società è molto cambiata e oggi, nel XXI secolo, è necessario che lo scrittore se ne renda conto e affronti tale problema.
Il raccontare storie di ogni tipo è il punto su cui tende a focalizzarsi Baricco con la sua Holden. Scrivere per lui è diventato un mestiere complesso e articolato che costringe a interfacciarsi con nuovi mezzi di comunicazione. Il rapporto tra lo scrittore e il mondo è molto più ricco oggi, per cui non è più sostenibile la figura dell’autore solitario, introspettivo. Deve avere molte facce e un talento multiforme, che necessita di essere, prima che sperimentato, almeno imparato.

Katia Tenti. Copyright © 2022 All rights reserved.

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Category: Editoria

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